“Munch. Il grido interiore” a Palazzo Reale a Milano fino al 25 gennaio 2025
Una mostra da non perdere, costi quel che costi, compreso un viaggio apposta a Milano
Chi non conosce il mitico “Urlo”? L’immagine ha fatto il giro del mondo, tanto da entrare a far parte degli “emoji” di whatsapp
Oggi, dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, Edvard Munch (Norvegia 1863-1944) viene celebrato con una straordinaria retrospettiva, prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo Munch di Oslo, e curata da Patricia Berman, una della più grandi studiose al mondo dell’artista.
Le cento opere, una più coinvolgente dell’altra, accompagnate da commenti e piccoli filmati, sono lo specchio di una vita segnata da precoci dolori. La perdita della mamma a cinque anni, quella della sorellina Sophie e del padre, le malattie, dalla tisi alla depressione, fino alle tormentate relazioni amorose con la fidanzata Tulla Larsen, sono il punto di partenza del suo talento artistico.
Non occorre immedesimarsi nelle sue tragiche vicende per percepire nelle tele il desiderio dell’artista di comunicare le angosce umane. In molte opere ritroviamo, infatti, qualcosa di noi.
Attraverso l’arte Munch punta a rendere visibile l’invisibile
Una celebre frase “Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto” ci fa prendere atto che lo stesso paesaggio ha effetti diversi su di noi a seconda dello stato d’animo. “Non dipingo la natura”, prosegue, “la uso come ispirazione, mi servo del ricco piatto che mi offre”.
L’inizio della carriera coincide con un momento di cambiamenti radicali nello studio della percezione e, in particolare, nella relazione tra quello che l’occhio vede direttamente e come la mente influisce sulla vista.
Le immagini, i colori e i suoni
La mostra ruota attorno al “grido interiore” di Munch, che l’artista esprime attraverso colori potenti e contrastanti: tramonti gialli e rossi su un cielo grigio e azzurro (vedi foto), come nel quadro Disperazione.
In questo scenario vibrante di emozioni s’intravedono sullo sfondo un paio di figure con il cilindro nero in testa. In primo piano cammina un giovane ragazzo, gli occhi bassi, senza espressione, vestito di nero. Gira le spalle al mondo, immerso nel dolore.
Qualche cenno sulla vita dell’artista
Munch, incoraggiato a intraprendere la carriera pittorica fin da giovanissimo, si reca a Parigi, dove subisce le influenze impressioniste e post impressioniste, per passare poi a Berlino, dove partecipa alla Secessione Berlinese. A metà degli anni Novanta si dedica alla produzione di stampe, diventando uno degli artisti più influenti in questo campo. Grande sperimentatore, non ha mai smesso di “ricercare”: dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia.
L’intenso lavoro e la fragilità fisica e psichica ne danneggiano la salute e l’artista si ricovera prima in un sanatorio e in seguito in clinica per un crollo psicologico. A 45 anni Munch rientra in Norvegia, stabilendosi al mare, dove dipinge paesaggi grandiosi, finchè nel 1914 acquista una proprietà a Ekeley, Oslo, dove muore a ottant’anni nel 1944.
La mostra si divide in sei sezioni. Tutte estremamente coinvolgenti
La più intrigante è la terza, dal titolo Quando i corpi si incontrano e si separano.
Come si può intuire anche qui Munch si espone in primo piano. In un’epoca ben diversa dalla nostra, il voler rendere visibile la “grandiosità della sessualità” è un tema all’avanguardia, allora osteggiato.
A dominare la scena è il rapporto controverso e difficile con il mondo femminile. Lo ama e lo teme nello stesso tempo, forse non riesce a capirlo fino in fondo. Il rapporto con Tulla Larsen, l’unica donna che ha veramente amato, è complicato, difficile da sostenere, troppo intellettuale, tanto che la fidanzata, di fronte ai suoi eterni problemi psicologici, lo lascerà per sposare un altro artista.
Nella terza sezione scorrono opere bellissime, umane, reali, una diversa dall’altra
“Attrazione” del 1896, una litografia stampata, è piena di leggerezza e poesia . I romantici capelli sciolti sono nello stesso tempo “correnti elettriche” che si accendono o possono trasformarsi in “ragnatele che esauriscono le energie”.
“Consolazione”, ci racconta un momento di disperazione della donna, mentre il “Vampiro nella Foresta” porta in scena ancora una volta la donna dominatrice, che succhia addirittura il sangue, rosso come i suoi capelli. In un repertorio dell’amore è immancabile il tema della “Gelosia”, incarnato da un uomo dagli occhi sbarrati, stravolto e distrutto, appunto, dalla gelosia.
Cruda e disperata la tela “La morte di Marat” del 1902, in cui Edvard si rappresenta nei panni di Marat, mentre Tulla in quelli di Charlotte Corday, la responsabile del suo omicidio nel 1793.
La situazione precipita a tal punto che l’artista sega in due un doppio ritratto come un atto simbolico del divorzio. La bella Tulla dai capelli rossi ha perso tutta la sua bellezza, per trasformarsi in una temibile seduttrice. La tragica storia d’amore gli crea una terribile depressione, che supererà dopo un lungo periodo in clinica iniziando una nuova vita.
Dove sempre continuerà parlarci di se stesso attraverso gli autoritratti e della natura intorno, che per lui ha un’anima, come rivela il quadro “Notte stellata”, un sogno dai morbidi e dolci colori.
Silvana Rizzi