Bassa Langa: il sapore della bellezza
Viaggio goloso tra vigne, delizie e una profonda armonia
Non chiamatela solo paesaggio. La Bassa Langa, nel cuore del Piemonte attorno ad Alba, è un magnifico anfiteatro di colline rivolte verso il sole, dove la cultura del vino e del cibo si fonde con la bellezza dei vigneti e dei borghi storici, in un’esperienza che nutre l’anima
Il viaggio stesso potrebbe iniziare con un calice che racconta la faccia più fresca e meno conosciuta di queste colline. Un bianco, per cominciare. Magari un Roero Arneis “Monfrini” di Ponchione, un vino che svela una complessità inaspettata: qui, una parte del mosto fermenta in piccole botti di rovere nuove, un tocco di maestria che aggiunge ai tipici aromi fruttati dell’Arneis una suadente e gradevole nota vanigliata. Il risultato è un bianco più ampio e avvolgente, che mantiene la sua anima territoriale ma con un respiro più ricco. Oppure, per i più curiosi, un Langhe Nascetta, vitigno autoctono salvato dall’oblio, che nel bicchiere si rivela con sorprendenti note di agrumi, erbe selvatiche e una sapidità quasi marina.
C’è un Piemonte che il mondo ci invidia, un lembo di terra sinuosa e feconda che ha elevato il piacere a forma d’arte. È la Bassa Langa, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, un anfiteatro naturale il cui palco è un susseguirsi di vigneti pettinati con una cura quasi maniacale. Qui, il turismo non è un’industria, ma un rito di accoglienza. Si viene per il vino, certo. Si resta per tutto il resto.
Il cuore pulsante del vino: tra giganti e simboli di territorio
Il richiamo del Nebbiolo è potente, quasi mitologico. Ma prima di arrivare ai suoi giganti, è saggio avvicinarsi alla sua espressione più giovane e schietta. Un Langhe Nebbiolo, come il “Così” di Campàro, ne è l’introduzione perfetta: un vero e proprio biglietto da visita per questo grande vitigno. Si presenta con il suo tipico colore rosso chiaro e un profumo netto ed elegante, dove un bouquet di viole, rose e bacche rosse fresche si intreccia a nobili note speziate date dall’affinamento in legno. In bocca, dimostra tutta la sua stoffa: un carattere forte ma ingentilito da una trama raffinata, con tannini setosi e mai invadenti. Il finale sorprende per la sua morbidezza, lasciando una sensazione quasi dolce che lo rende incredibilmente versatile.
Poi si arriva a loro: il Barolo, “il re dei vini”, austero e complesso, e il suo alter ego, il Barbaresco, più gentile e femminile. Ascoltare i racconti dei vignaioli è il primo atto di una profonda connessione con il territorio, ma è l’assaggio a svelarne l’anima. Capire Serralunga significa perdersi in un calice di Barolo del Comune 2020 di Giovanni Rosso. Già nel bicchiere, il suo colore rosso scuro e intenso anticipa la profondità del racconto che sta per svelare. L’esperienza olfattiva è un’immediata conferma della sua classicità: un bouquet ricco e articolato, dove spiccano nitide note di amarene sotto spirito, accompagnate da un’armonica presenza di violette e fiori rossi, culminando in sottili richiami di fogliame autunnale. L’assaggio rivela un equilibrio impeccabile, marchio distintivo di questo vino. Si distingue per un’intensità che non compromette la finezza, con tannini perfettamente integrati grazie a un paziente affinamento che si protrae dai 18 ai 36 mesi in maestose botti di rovere francese. La sua classe innata si manifesta sin dal primo sorso, con una persistenza aromatica che lo rende il partner ideale per le eccellenze della cucina tradizionale. Al palato, si rivela per quello che è: un vino raffinato e di altissima qualità, con una struttura solida e imponente e un gusto persistente che lascia un’impronta indelebile.
Dall’altra parte, l’eleganza del Barbaresco si manifesta in vini come il Barbaresco Riserva DOCG “Basarin” 2017 di Punset. In una terra di potenti tradizioni, c’è chi ha sempre scelto di ascoltare una voce diversa, più profonda: quella della terra stessa. Marina Marcarino è questa voce. Il suo “Basarin” è il manifesto di una filosofia di vita, un tributo al nome stesso della tenuta, “Punset”, che in dialetto significa “bella collina”. Frutto di una rivoluzione biologica e biodinamica iniziata negli anni ’80, questo vino fermenta con soli lieviti indigeni e affina 33 mesi in grandi botti di rovere. Nel calice è rubino con riflessi granata; al naso, un invito in un bosco autunnale di frutti rossi, viola, sottobosco e tabacco. Al palato è pieno, avvolgente, con tannini fitti e integrati che guidano verso un finale di eccellente persistenza. Un vino che unisce struttura e finezza, per capire cosa significa assaggiare un territorio.
E questa dedizione, questo orgoglio territoriale, si fa materia tangibile ancor prima di stappare la bottiglia. Basta osservare la forma inconfondibile della bottiglia Albeisa, un’icona che veste i vini più pregiati della zona. Nata da un modello risalente ai primi del Settecento, questa bottiglia elegante e leggermente panciuta è stata protetta e valorizzata dal Consorzio Albeisa fin dal 1973. Non è un obbligo di legge, ma una scelta di campo, un patto volontario tra produttori che desiderano sigillare il legame indissolubile con la loro terra. Riconoscerla è facile: porta inciso a rilievo sulla spalla il nome “Albeisa”, che significa semplicemente “dell’Albese”. È il sigillo di appartenenza che oggi unisce quasi 300 produttori, una firma collettiva che dichiara l’origine e l’identità del vino contenuto.

La sede stessa del Consorzio, quasi a simboleggiare questo legame profondo con la storia, nasconde nei suoi sotterranei i resti di una domus romana, parte dell’antica Alba Pompeia. È l’ultimo tocco, il dettaglio che racconta una storia di comunità e di amore per la propria terra, una storia che si può toccare con mano, anche grazie all’impegno di figure come Marina Marcarino attuale presidente del Consorzio. Le esperienze di degustazione tematiche, prenotabili presso la sede, consentono di esplorare le peculiarità distintive dei vini. Queste sessioni formative sono strutturate per approfondire la conoscenza dei vitigni, le caratteristiche pedologiche e le specificità dei vini, con un approccio puramente didattico e divulgativo.

A tavola: l’anima gastronomica delle Langhe
Ma ridurre la Bassa Langa a una degustazione, per quanto sublime, sarebbe un errore. Il secondo atto di questa sinfonia è a tavola, e la sua primadonna non è sempre e solo il Tartufo Bianco d’Alba. Sebbene il re indiscusso sia il Bianco, il territorio delle Langhe regala anche ottimi tartufi neri, come lo Scorzone estivo, che offrono esperienze aromatiche diverse ma altrettanto affascinanti. Certo, il profumo del Bianco in autunno è una malia inebriante che richiama devoti da ogni continente, e l’emozione di una cerca del tartufo con i trifolau e i loro fedeli cani, come Pippo, è un’esperienza da vivere almeno una volta nella vita. Ma la vera anima gastronomica langarola è un coro di sapori robusti e gentili.
È la Nocciola Piemonte IGP “Tonda Gentile”, che profuma le torte e si trasforma nei celebri baci di Cherasco. La tavola si arricchisce di antipasti creativi come un delicato uovo pochè con asparagi e parmigiano o leggeri fiori di zucca ripieni di ricotta di capra, che preparano il palato ai sapori più intensi.
La pasta fresca all’uovo qui è un rito: chi può non assaggiare i Tajarin, sottilissimi e ricchi di tuorli, magari con un saporito ragù di coniglio? O i famosi ravioli del plin, piccoli scrigni di carne pizzicati a mano, serviti tradizionalmente in brodo durante le feste o, più spesso, conditi con burro e salvia o con un denso sugo d’arrosto. Accanto alla tradizione, trovano spazio piatti moderni come un risotto carnaroli mantecato con barbabietola, burrata e una sorprendente polvere di liquirizia.
Questa arte culinaria la potrete assaporare da Umano a Neive, dove la filosofia di “nutrirsi con quello che la natura ci offre” si traduce nel rispetto della materia prima, dalla classica carne cruda di Fassona battuta al coltello fino a un superbo taglio di vitello in frollatura cotto alla brace. La stessa eccellenza è celebrata da Campamac a Barbaresco, dove le cucine a vista svelano la preparazione delle loro specialità, tra cui spicca il galletto ruspante, e altre carni selezionate.
È il carattere deciso di formaggi come la Robiola di Roccaverano e il Murazzano, che raccontano storie di pascoli e antichi saperi. Per chi desidera un’immersione ancora più profonda, una Cooking Class con lo chef Marc Lanteri a Castagnito d’Alba sarà un’esperienza indimenticabile. Il suo ristorante, in Via Serra 21/d, è un pilastro della sostenibilità, con un contatto diretto con i produttori locali che diventa l’anima di ogni piatto, proponendo una cucina immediata, essenziale e con una particolare attenzione al vegetale.
Oltre la tavola: avventura, storia e arte tra le colline
E quando ci si alza da tavola, il viaggio continua. Le colline non sono solo uno sfondo, ma un invito al movimento. La storia, qui, non è relegata nei musei. È la materia stessa dei borghi e dei castelli che dominano le alture. Il Castello di Grinzane Cavour, che fu dimora del Conte Camillo Benso, oggi è un tempio del vino.
Ai suoi piedi si estende la Collezione Ampelografica, un ettaro e mezzo di terreno che ospita circa 500 vitigni storici. Il castello di Serralunga d’Alba è una sentinella di pietra che fende il cielo.
Passeggiare per i vicoli di Neive o tra le case in pietra di Monforte d’Alba significa fare un salto nel tempo. A Monforte, la pietra medievale del borgo fa da quinta a un moderno anfiteatro per concerti jazz. A Neive, il lusso è il silenzio, e per un soggiorno indimenticabile, il Borgese Camere e Suites offre un’ospitalità che fonde storia e design.
Ma la Bassa Langa sa essere sorprendentemente contemporanea. Basta trovarsi di fronte alla Cappella del Barolo a La Morra, un’esplosione di colori firmata da Sol LeWitt e David Tremlett.

Poi, una tappa immancabile è a Barolo, per visitare il WiMu – Museo del Vino di Barolo all’interno del Castello Falletti e l’Enoteca Regionale del Barolo. Infine, salendo sulla Torre medievale di Barbaresco, tutto ciò che avrete visto da vicino acquista un nuovo senso. Con i suoi imponenti 30-36 metri la Torre, è la più grande torre medievale del Piemonte.
Costruita intorno all’anno Mille, serviva come punto di avvistamento strategico. Oggi, grazie a un attento restauro, è un’attrazione moderna: un ascensore panoramico esterno ti porta direttamente all’interno, dove un percorso multimediale ti svelerà la storia del famoso vino Barbaresco. Non perdere soprattutto, la terrazza panoramica a 360 gradi sulla sommità: da qui, potrai ammirare una vista spettacolare sui vigneti e sulle dolci colline delle Langhe.
Questo paesaggio, così struggente e rigoroso, è la materia prima che ha nutrito non solo il palato, ma anche l’anima letteraria di scrittori come Beppe Fenoglio e Cesare Pavese, e che oggi pulsa con eventi internazionali come Collisioni, il festival “agri-rock” che ad Alba porta premi Nobel, rockstar e scrittori.
Visitare la Bassa Langa significa quindi concedersi un’esperienza totale, che soddisfa il palato, incanta la vista e arricchisce lo spirito. Non si torna da un weekend nelle Langhe con semplici souvenir. Si torna con il sapore di un grande vino ancora sul palato e con lo sguardo allenato a riconoscere la bellezza che nasce dalla cura, dall’intelligenza del gesto e da un profondo rispetto per la terra. Una “beautytudine” che non svanisce, ma che insegna a cercare l’armonia ovunque.
Valentina Avogadro